E ora che ci tocca, di nuovo e ancora, fare i conti con noi stessi, con le nostre paure, con le nostre perplessità, con l’incertezza del futuro… ne approfitto per trovare rifugio tra i profumi del mio opificio e tornare a indossare i panni della divulgatrice.
E dopo avervi svelato il segreto dell’anima agricola del cioccolato, anzi proprio partendo dall’anima agricola del cioccolato, oggi mi piace condividere con voi – come se foste seduti in dolceria, per una degustazione – il pensiero del mio cioccolato come prodotto etico.
Una parola di facile comprensione, seguendo i passaggi del mio racconto. Che nasce dall’esperienza sul campo – anzi, sui campi coltivati a cacao che ho visitato in giro per il mondo – e dal mio quotidiano lavoro di artigiana.
Etico il mio cioccolato lo è perché – volendo e dovendo rispettare la materia prima, il cacao, e chi l’ha coltivato (singoli produttori, famiglie di coltivatori, piccole cooperative di contadini) – da molti anni ho adottato, nel mio opificio, un processo di lavorazione di chiara tracciabilità e di autentica aderenza: il bean to bar. Che signifca: lavorare le fave, nel pieno rispetto delle loro proprietà, e “limitarsi” a trasformarle in una barretta.
Una barretta, da questo punto di vista, buona per tre motivi: perché preserva in maniera integrale l’anima agricola del cacao; perché è autentica e pura, senza quelle raffinazioni di gusto che, per meri scopi di vendita, ne alterano la natura; perché non “inganna” il consumatore.
Che sia un monorigine, un aromatizzato o una barretta di Cioccolato di Modica Igp: il mio cioccolato è sincero, cioè rispettoso delle aspettative – olfattive, gustative – dell’utente finale, perché è il frutto di una lavorazione essenziale della fave di cacao. Che, prima testate e poi tostate, riescono a restituire le loro reali caratteristiche, i loro pregi e il loro profumo, la loro anima e la loro materia.
Etico il mio cioccolato lo è perché non è alterato.
Che, a livello pratico, significa trovare il modo di tostare le fave in maniera perfetta, cioè a dire che la tostatura va dosata, in un perfetto equilibrio tra la temperatura e il tempo.
Anzi, meglio: la tostatura nel mio opificio deve adattarsi sempre al tipo di semi da lavorare. Anche perché le fave che importo sono, nella maggior parte, pregiate, preziose, rare e delicate. E ogni intervento su di loro va quindi calibrato, in maniera sensibile e bilanciato, in modo che la tostatura non comprometta il loro sapore ma ne esalti il gusto, fino a valorizzare le piccole-grandi differenze che ci sono, tra un seme e un altro.
Ecco dove sta l’etica, in questo procedimento: nella sensibilità, nell’accuratezza, nello studio, nell’applicazione di procedimenti di lavorazione rispettosi della materia prima.
E qui metto un punto: con tutto questo parlare mi è venuta voglia di una tavoletta Monorigine di Fortunato n4 (il mio preferito)…
Io spero davvero di avervi un po’ chiarito le idee e provocato qualche domanda sul vasto e incredibile mondo del cioccolato.
Ora capite perché quando dico cioccolato a me viene subito in mente conoscenza, mito, tradizione, memoria, etica e bellezza. Se vi va di continuare a parlarne o avete domande da fare, sono a vostra disposizione: mi raggiungete qui. Oppure, tramite le mie barrette: loro sanno parlare tutte le lingue del mondo e lo fanno in maniera più dolce, immediata e golosa di me…
Siate felici (che in questo periodo non è cosa da poco…)!